testi critici

Conversando con Simona Weller
(1968)

Risillabare la realtà
(1972)

Simona Weller e la continua scoperta dell'immaginazione pittorica
(1976)

Il mondo filtrato dalla sensibilità di Simona Weller
(1984)

Vestire la parola con il complemento materico della pittura
(1985)

Una scrittura per Simona Weller
(2000)

L'arte, l'estate, la nostalgia
(2005)

Simona Weller: tra Caos e Cosmos
(2007)

Dichiarazione poetica

"Uscire dall'infanzia dell'arte"

Parlando con gli amici dei quadri esposti alla X Quadriennale, mi son sentita dire: "Mi è piaciuto quel prato? Mi ha colpito quella lavagna? Mi è piaciuto quello tutto scritto e poi cancellato con quelle accensioni e la parola RIFARE in fondo? Mi è piaciuto quello che c'è scritto corvo in nero e grano in giallo che poi la parola corvo finisce su un fondo azzurro che sembra acqua, invece c'è scritto cielo, era acqua o cielo? Ha vedi che avevo capito! Ma la lavagna come l'hai fatta, con l'acrilico? Quello verde mi ricorda un quadro di Balla divisionista?". Quest'ultima frase non la trascrivo per vanità, ma perché è quella che più si è avvicinata alla mie intenzioni.

Quando un anno fa mi presentai a Roma con una mostra di pittura-scrittura nata da una ricerca sui modi di espressione del mondo infantile, non immaginavo che proprio da quel ricominciare dall'inizio quasi mimando una mia creatività infantile e quasi, quindi, non avessi mai dipinto prima, sarebbe nato questo attuale, ironico e in un certo senso disperato modo di riproporre pittura pura.

Vivere dentro la cultura è certo ben diverso che inseguire fantasmi e germogliare di cose in un posto chiamato Colle Nibbio; ho avuto la possibilità di misurarmi, di avere punti di riferimento, di scegliere quello che sentivo più giusto per me. È stato così che scrivendo, scrivendo, l'estate scorsa a Calice Ligure, ho scritto erba pensando a SEURAT, mare pensando a MONET, grano pensando a VAN GOGH. Non rinunciavo però, ancora, alle lavagne dei bambini, ai loro quaderni, alla loro libertà d'invenzione, al gusto di buttar giù una parola scarabocchiata, un po' misteriosa e un po' rivelatrice, cose che, per me, rappresentavano la libertà di fronte alla tela come mostro, la gioia di avere finalmente il coraggio di fare quello che non avevo mai avuto il coraggio di fare: infischiarmene del bel disegno, della bella materia, della bella pittura.
Questo è stato il periodo degli esercizi, dei temi, delle lavagne di appunti veloci per il quadro che realizzavo accanto alla lavagna stessa, a dittico o addirittura a trittico (progetto, quadro sbagliato, quadro definitivo) quasi volessi rimandare il momento in cui sarei dovuta uscire "dall'infanzia dell'arte".

Le tele adulte, sono venute naturalmente, subito dopo, e la "bella pittura" è riesplosa come una passione maturata tra le difficoltà. Così il quadro in cui è scritto erba, erba, erba, con un sovrapporsi di scrittura, colore-luce, di tipo divisionista, è sembrato a molti osservatori un prato.
Adesso, però, sto facendo dei quadri che già vorrei fossero diversi.

L'esperienza del segno libero, dello scarabocchio catartico mi è troppo presente come nostalgia mentre lavoro in questo modo frenetico al limite della nevrosi, per questo scrivo e cancello, cancello e scrivo, perché spero che sia questo il mio nuovo mezzo di sentirmi libera di fronte alla gioia del fare.

Roma, Maggio 1973