Filiberto Menna - 1968


Conversando con Simona Weller

F.M. - Vorrei dire, anzi tutto, che tra le tue opere recenti e quelle di alcuni anni addietro esiste una fortissima continuità di temi e di linguaggio. I temi sono ricorrenti e questo mi fa pensare che tu tragga ispirazione da un contesto ambientale ben definito.

S.W. - Sì, certo. Infatti ritengo che proprio la mia vita in un ambiente naturale com'è la campagna, dove vivo e lavoro, ispira e, perché no, condiziona tutto quello che faccio, tanto che mi è istintivo esprimermi con un linguaggio aderente al ciclo biologico come posso osservarlo in campagna: gli animali che lottano e si divorano per sopravvivere, oppure come si amano, come muoiono… Questo mio controllare la natura mi dà poi anche un senso di aderenza alla realtà, che, fatte le debite proporzioni, non è diversa da quella che si vive e si respira nel mondo.

F.M. - Ecco, vorrei allora che tu m'indicassi gli elementi della natura che più frequentemente fanno parte del tuo repertorio d'immagini.

S.W. - C'è stato un periodo in cui mi interessava un mondo pre-natale fatto di larve, radici, tuberi, semi che crescevano; poi, nei mesi seguenti questo mondo embrionale si è sviluppato… Adesso, ad esempio, quello che più mi ha colpito nel passaggio di stagione è stato il trovare, accanto alle prime foglie accartocciate, gusci vuoti di lumache e di granchi, le ninfe o spoglie vuote d'insetti, pelli di serpenti come cortecce trasparenti, o carcasse di rospi seccate dal sole e persino alcuni fiori in decomposizione che avresti detto animali…

F.M. - Sì, trovo perfettamente corrispondente, questa indicazione, alla realtà della tua opera, che io metterei sotto il segno della metamorfosi. Nelle tue cose tutte le immagini non sono mai determinate, mai fissate in una forma finita e discreta, ma si trasformano continuamente, acquistano forme sempre diverse, meglio direi che la tua opera vive sotto il segno del ciclo: copula, nascita, morte, rinascita e quindi al fondo di tutto questo c'è, secondo me, una mediazione culturale profonda, che ha radici lontane che definirei di natura alchemico-esoterica. Non solo violenza e morte ma nascita, un forte senso della ciclicità dell'esistenza.

S.W. - Perché non chiamarlo vitalismo? Questo sentire la vita così profondamente… Però non sono d'accordo quando tu parli di metamorfosi perché, secondo me, questa parola implica la trasformazione di una forma in un'altra forma, mentre la mia ricerca è orientata verso un'analisi delle forme che si modificano durante il loro ciclo vitale. Ammetto che c'è una tale differenza tra una cosa viva e la sua spoglia da dare effettivamente la sensazione di una trasformazione totale, come sarebbe appunto la metamorfosi. Vorrei ancora, e mi scuserai, fare un'obiezione per un'altra parola da te adoperata: "alchemico-esoterica", che implica un concetto per cui provo una certa diffidenza e che può darmi un'etichetta suggestiva quanto vuoi, ma in fondo restrittiva…

F.M. - Capisco e in parte condivido la diffidenza che tu hai per le etichette. È un po' una polemica ricorrente tra critici e artisti, i quali giustamente si rifiutano di essere ingabbiati in termini eccessivamente chiusi, eccessivamente finiti: ma d'altra parte vorrei dire (e questo è un discorso che ha un carattere più generale) che noi parliamo sempre per astrazione e schemi, non fosse altro che ogni termine è uno schema che cerca d'ingabbiare la realtà per parteciparla agli altri, per comunicare.
Quindi ogni termine non vuole avere mai un carattere definitivo. Ma vuole essere un'indicazione, un'arpionata per vedere se si riesce a cogliere questa cosa che stiamo cercando… Sono d'accordo con te che il termine metamorfosi non coglie perfettamente il senso della tua opera perché ciò che tu cerchi (parlavi di vitalismo e mi sembra giusto) è, piuttosto, di rendere una sorta di matrice organica, allo stato indifferenziato, da cui può nascere qualsiasi altra cosa. Per quanto riguarda, poi, il carattere esoterico-alchemico, mi sembra che tu non debba avere un'eccessiva diffidenza per un'indicazione del genere perché si tratta di una mediazione culturale tra te e la natura. Qualsiasi realtà del resto, non si guarda se non attraverso una mediazione di tipo culturale che ci rende uomini partecipi di una determinata epoca, di un determinato momento storico.
Questa radice alchemico-esoterica è una radice che è ben dentro alla cultura moderna da cui traggono origine le tue cose, voglio dire il filone che io chiamerei "organicistico", il filone che ha alimentato alcune poetiche del surrealismo, che da questo sono poi passate nell'ambito dell'informale, cioè tutte quelle poetiche in cui l'elemento naturale viene colto proprio allo stato di una matrice indifferenziata.
Per collocare meglio la tua opera in un contesto culturale più preciso, mi sembra sia opportuno puntualizzare che in realtà questi temi della morte, della violenza, della dissoluzione della natura, possono acquistare un significato storico preciso di simbolo di una condizione vitale più ampia, più generale.


Napoli, Novembre 1968