Federica Di Castro - 1972


Uscire dall'infanzia dell'arte

La pittura come mezzo di conoscenza. Conoscenza di un mondo circoscritto, intimo, dilatabile all'universo. Questo mi dicono le pagine-quadri di Simona Weller. La conoscenza è il contrario della decorazione, ma può integrarla, comprenderla. Il mondo che la Weller prende in esame è quello infantile, le pagine di un quaderno di prima elementare dove la grafia è pittura e immagine e il foglio un racconto, la storia di una giornata, l'emozione di una scoperta in cui segno e colore concorrono alla meraviglia.

Ogni lettera dell'alfabeto ha un colore così come ha un suono, ogni parola è un'immagine, ogni foglio ha un "tono" che è determinato da tutti questi elementi, e una risonanza emozionale. In questo mi pare che la Weller differisca sostanzialmente da artisti che come lei hanno rivolto l'attenzione a una scrittura pittorica - come Novelli e Twombly - nel fatto che il suo interesse per quel preciso linguaggio nasce prima che come attenzione al mezzo, come attenzione al mondo che di quel mezzo espressivo si serve. Nel caso specifico il mondo di un'infanzia che scopre i mezzi espressivi nel momento stesso in cui scopre che essi sono anche controllabili, addomesticabili, e però un istante prima che questo avvenga. Poiché c'è un linguaggio infantile dell'inconscio - che è quello in cui tanto in profondità ha indagato Klee - che è tutto istintivo, ricco di stratificazioni significanti: il mondo magico incontrollato vicino al limbo, alle civiltà sepolte che è proprio dei disegni dei bambini di due tre quattro anni.

L'attenzione della Weller è invece molto precisa e si focalizza sul momento in cui al limbo si dice addio per conquistare la ragionevolezza della conoscenza, per arrivare con il tempo, dopo un lungo cammino a conquistare per una via diversa quel mondo antico, quel mistero dell'origine.

La scoperta del mezzo, la scoperta del linguaggio, la scoperta di punti di riferimento uguali per tutti, la scoperta di un'oggettività insospettata che è anche nostra: è quello che ci comunicano le prime pagine di quaderno nell'infanzia, quando le guardiamo esterrefatti. Poi i mezzi ci divengono familiari e il nostro tempo è dispensatore di mezzi, di tanti mezzi di espressione e di acquisizione.
L'artista ha il problema del mezzo, nel senso che teme sempre l'inautenticità, che non si fida, che stenta a credere che sia il suo mezzo. Perché i linguaggi sono a disposizione di tutti e difficile è riconoscersi in uno di essi.

Il discorso della Weller investe dunque il mondo della creatività in un senso molto ampio, si allarga al rapporto tra l'artista e il suo linguaggio, più che tra l'artista e l'opera o l'artista e il pubblico. Apre la possibilità al riflettere sui rapporti tra mondo emozionale e mondo espressivo, induce ad una riflessione sul valore della scelta. Al di là dunque della pagina di un quaderno dove l'immagine acquista un significato sonoro ed è intensa di drammaticità e di dolcezza e di rabbia e di gioia e di stagioni e di luce e di ore del giorno, al di là della freschezza infantile che la pittura della Weller ci restituisce intatta, c'è una problematica che investe il mondo intimo ma dilatabile della creatività, proprio nel suo nodo più intricato, quello in cui la materia sta per accedere alla consapevolezza: il momento più intenso, quello in cui l'artista si accinge ad uscire dall'infanzia dell'arte.

Roma, Aprile 1972