Paolo Alei - 2005


Un'interpretazione della pittura-scrittura di Simona Weller

Da storico dell'arte del rinascimento è stato rischioso confrontarsi con un contributo all'arte contemporanea importante e complesso come la pittura-scrittura di Simona Weller. Dapprima si incontra un certo timore poi, una volta che si stabilisce un dialogo tra spettatore e opera d'arte, quest'ultima appare come un documento visivo elaborato con una tecnica originale e denso di significati. Lo scopo di questo saggio è proprio quello di analizzare la tecnica e il significato di un periodo dell'opera della Weller, quello legato allo studio sulle possibili funzioni della parola nell'immagine. In alcune tele della pittrice la parola diventa una sorta di ductus ripetuto come un modulo. Un modulo che non è, come in molti artisti, una figura geometrica ma, ed è questa l'invenzione della Weller, una parola scelta per quanto di evocativo in essa è contenuto. I termini preferiti dall'artista sono: mare, erba, grano, cielo, alba e vengono usati come ripetizioni seriali dipinte con preziosi colori pastello sulla superficie di tele monumentali.

La storia della pittura occidentale è ricca di una componente verbale elaborata in modi e con mezzi sempre diversi. Partendo dall'antico paragone oraziano di Ut pictura poesis, immagini e parole sono state confrontate tra loro secondo le complesse teorie delle arti sorelle. La poesia ha ispirato la pittura e viceversa in un fluido scambio di idee e suggestioni. Le due arti hanno spesso seguito modelli di metodo analoghi, mentre altre volte analogica è l'associazione: dagli antichi geroglifici egizi, ai manoscritti miniati medievali, alle voci dipinte del Beato Angelico, al misterioso senso di Et in Arcadia ego di Poussin. Ma non si possono dimenticare anche gli esperimenti fonetici del futurismo e la scrittura visuale contemporanea, in cui lettere, parole, frasi e testi fanno da supporto alle immagini o diventano immagini esse stesse.

Simona Weller ha studiato l'arte classica, ha iniziato il suo percorso attraverso la figurazione accademica, approfondendo poi varie correnti dell'arte contemporanea: dall'impressionismo al divisionismo, dal cubismo al surrealismo, dal dadaismo fino all. La sua pittura-scrittura potrebbe essere associata ai modi espressivi di artisti come Novelli, Boetti, Twombly o Basquiat (anche se quest'ultimo elaborò i suoi graffiti e le sue lavagne quindici anni dopo), ma la Weller entra in questo linguaggio con una sua propria identità artistica. Se le cosiddette "Lavagne" di Simona Weller condividono elementi comuni a Basquiat o Twombly, le sue parole seriali si distaccano dalla corrente artistica newyorkese-romana e si affermano come uno stile tutto proprio. Sicuramente la Weller non è né la prima né l'ultima artista a usare parole dipinte sulla tela, ma è però l'unica ad usare un originale processo creativo che, avvalendosi di una semplice parola-modulo, è capace di evocare emotivamente la sensazione di un'alba, di un tramonto sul mare o di un campo di grano.

Nell'opera della Weller la parola è decodificata nel suo farsi scrittura, nel suo ripetersi e sovrapporsi fino a costruire una tessitura di colori usati secondo i parametri del divisionismo. Prendiamo per esempio il termine "mare", nel lavoro della Weller non è solo indicativo di una vasta estensione di acqua, ma anche di una superficie che contiene in sé un movimento costante, ondoso e perfino tempestoso. Oppure le parole "erba" e "grano", che con i loro filamenti o spighe mosse dal vento, seguono gli stessi principi di estensione e di moto. Per l'artista dunque l'infinito non è solo implicito nell'immensità dell'oceano, nella vastità di prati o campi di grano a perdita d'occhio, ma anche nell'immenso universale della natura.

L'infinito sembra essere un principio costante di queste opere sia a livello spaziale che temporale e creativo. L'acqua è sempre stata il simbolo più evidente del concetto di natura naturans, simbolo per eccellenza del rinnovamento naturale attraverso la pioggia generata dalle nuvole, a loro volta nate dal mare. Non c'è da stupirsi quindi che ripetendo la parola "mare" sulla tela l'artista non fissi un'idea, ma lasci la suggestione del loro costante fluire nel tempo e nello spazio. In modo analogo, "erba" e "grano" rappresentano non solo il simbolo della fertilità ma anche il passaggio delle stagioni attraverso l'infinito ciclo di vita e morte. Quindi nelle tele Erba e Grano, colori e pigmenti subiscono una metamorfosi temporale nel processo della scrittura per tornare, a volte, a ciò che erano in origine. Il perimetro del supporto non contiene tutto il concetto dipinto, né l'estensione della stesura. La pittura suggerisce l'espandersi della scrittura oltre i confini delle tele.

La scrittura della Weller anche se orizzontale non è lineare e ripetitiva sia nella forma grafica che nel colore. La parola (o meglio l'atto di scrivere) diventa un'onda blu, un filamento verde o una spiga gialla che cambia tonalità secondo la luce del sole al suo zenit, al tramonto o all'alba. Nell'opera Talatta talatta (1976-78) la superficie si trasforma in spuma specchiante, lucida come bagnata. Nelle opere che hanno per tema l'erba e il grano (1971-74 rivisitate nei primi anni del 2000) le tele diventano fibra, quasi fossero trasformate in tessuti vegetali. Così la parola della Weller è una sineddoche, un segno che rimanda alla percezione totale della sua creazione. Il segno è una parte per il tutto, come nel tropo retorico. I riferimenti retorici si ritrovano ancora nella struttura dell'opera dove il segno è ripetuto come un'anafora. La scrittura intesa come continuum si trasforma così in una sorta di preghiera, di invocazione, di litania, fino a raggiungere un allarmante presagio, quasi un grido drammatico. L'artista ha così attualizzato l'idea di figura e discorso in un intreccio di elementi visivi e verbali.

Come può la scrittura diventare una forma d'arte visiva? La scrittura della Weller è analoga al disegno che, attraverso l'atto di segnare la superficie, esplora senza fissarlo, il fluire del pensiero con la mano. Quasi evocando l'atto della creazione artistica di Leonardo attraverso il componimento inculto, la rappresentazione della natura della Weller prende vita attraverso il moto degli elementi. Come il maestro del Rinascimento la mano della Weller scorre ed esplora non una, ma molte volte, grazie alla sovrapposizione delle stesure. L'artista, infatti, sovrappone parola su parola fino al punto di evocare l'idea del componimento inculto, la composizione che rimanendo un'ingegnosa forma aperta induce lo spettatore a partecipare emotivamente al dominato caos dell'opera. Una forma nasce da un'altra, una parola è troncata da quella successiva che a sua volta ne genera ancora un'altra. Poi improvvisamente uno o più termini sono cancellati e riscritti altrove. Questo è un processo che nega la prospettiva, ma non la profondità dello spazio. Ogni parola rivela qualcosa di quella sottostante che affiora in superficie in termini spaziali e semantici.

Mentre il componimento leonardesco lascia le sue idee in uno stato di rappresentazione caotica, la Weller si autoimpone un modello geometrico che nega il figurativo ma, riordina il caos secondo precise strutture. Linee, griglie, bande di colore evocano non solo gli esperimenti pre-cubisti di Cezanne ma soprattutto la pagina di quaderno e ribadiscono quanto la Weller effettivamente scriva con la pittura e dipinga scrivendo. Le righe strutturali della Weller stabiliscono una sequenza e non lasciano che l'opera prevarichi completamente l'artista. Infatti, la pittrice esercita sempre un controllo sull'opera attraverso precisi interventi. Questi parametri organizzativi comunque non cessano di evocare il caos: il caos della vita, il caos degli elementi naturali, il caos che continua a generare ulteriori forze creative come la mano mai stanca dell'artista. È attraverso quest'affascinante gioco tra ordine e caos che, infatti, l'opera prende forma come la stella danzante elogiata da Nietzsche.

Quando alla fine degli anni Settanta la Weller dedicò una serie di opere alla parola "mare", la scrittura dipinta non è più né infantile né casuale, ma ben meditata ed attentamente studiata. La pittura scrittura della Weller è costruita con linee dinamiche dal carattere fenomenologico. L'artista stabilisce una corrispondenza tra il movimento del mare, del vento, dei fili d'erba e il movimento della mano. Alla fine si crea una cosciente relazione tra soggetto e fare. L'artista rappresenta il soggetto al punto che gli occhi della mente e la mano lavorano reciprocamente. Caricate con colori violenti, queste linee attive sono partizioni musicali ed in quanto tali possono essere concise, dilatate, forti o lievi. In questo senso Mare mare e Talatta talatta e le sue successive variazioni hanno la capacità di incantare sonoramente e visivamente come una seducente superficie che fluttua, si muove e riflette i raggi solari nei diversi momenti del giorno.

A volte la ripetizione seriale è ossessiva e la sovrapposizione spinge la tensione emotiva al punto che le parole dipinte trasformano la superficie in una tessitura. Se una visione ravvicinata rivela il microcosmo della parola singola formata da un segno divisionista, una visione distanziata suggerisce il macrocosmo di un testo composto da sovrapposizioni. Mare mare e Talatta talatta sono pitture intrecciate in cui le parole quasi spariscono e diventano illeggibili. Da lontano la pittura è emotivamente percepita piuttosto che intellettualmente letta. Di conseguenza il suo significato è trasmesso tramite il colore, il movimento e la tessitura. In questo secondo approccio più che con la referenzialitá singola del segno semiotico, la pittura della Weller è impregnata di un apparente effetto semiotico generale. Creando una trama di parole la Weller compone un'opera tessuta con segni di colore che coprono, senza però cancellare l'ordito della tela sottostante.

L'artista è una specie di Penelope che tesse una stoffa e simultaneamente la trama di un poema. Ma è ancora di più un'eroina ovidiana, una sorta di Filomela che tesse parole per comunicare la sua disperazione. Filomela, stuprata, privata della lingua e imprigionata in una torre, comunica con la sorella Procne attraverso parole a forma di fiamma, segretamente tessute in una stoffa. La voce tessuta di Filomela implica però uno spettatore che, come la sorella, capisca il linguaggio-codice e possa liberare la muta prigioniera. La comunicazione di Filomela è parte delle Metamorfosi, un poema, ma la voce tessuta non è una poesia o almeno non solo poesia. Piuttosto il tessuto di Filomela con i segni del fuoco è da considerarsi una superficie che comunica attraverso sistemi semiotici comuni alla pittura. Come la voce muta di Filomela, anche se diversa nei messaggi, la scrittura dipinta della Weller evoca la poesia, ma è prima di tutto un'opera di arte visiva.

Simona Weller trasforma la comunicazione metaforica inventata da Ovidio in messaggio contemporaneo attraverso i segni elaborati dall'arte moderna. Certamente le maggiori influenze sembrano arrivare dagli studi sulle correnti impressioniste. Però la natura della Weller non è, o non è soltanto, un campo della Provenza di Van Gogh, o l'acqua intorno alla Grand Jatte di Seurat. La natura della Weller è un ideale universale che esiste nell'immaginazione dell'artista. Per esempio, il Talatta talatta anche se storicamente ispirato da un tramonto sulla lunga spiaggia di Sabaudia, non ha elementi di riconoscibilitá e identificazioni con il Mar Tirreno. Nessuna banlieu, nessun contadino, nessun borghese vacanziero, nessuna narrativa appare all'orizzonte ma solo la vastità incontenibile della natura nella sua essenza. Inoltre ad un livello più tecnico la parola scritta della Weller sfida in qualche modo il tratto divisionista. La pennellata di Van Gogh rappresenta il grano o l'erba principalmente come filamento verticale. La scrittura implica, anche se slegata, una certa orizzontalità propria della retorica che la Weller cerca di imporre. In questa strutturalizzazione la Weller sembra riferirsi al primo Mondrian che usa le taches del divisionismo e la struttura della griglia.
Sebbene l'opera della Weller evoca il divisionismo nell'elaborazione del segno, Mondrian nella struttura e nega il Futurismo nel significato, alcune sue sperimentazioni grafiche potrebbero far pensare alle invenzioni della poesia di Marinetti. Certamente la Weller non guarda a Marinetti come fonte di significato ma al suo aver liberato la parola da costrizioni di sintassi convenzionali. Nella pittura della Weller non appare né il mito della guerra né l'elogio della distruzione, né tanto meno un carattere ribelle. Anzi le tonalità e i movimenti della pittura della Weller hanno quasi un carattere contemplativo e a volte perfino romantico. La Weller evoca la semantica di Marinetti e la trasforma in una comunicazione pittorica fondamentalmente diversa. Nella pittura della Weller l'insonnia febbrile, lo schiaffo, il salto, il pugno dei testi futuristi diventano onda, spuma, vento, luce, e nei passaggi più drammatici fuoco e tempesta. La velocità urbana e tecnologica di Marinetti ritornano ad essere il moto della natura che non è controllata dall'uomo, ma anzi, anche se a volte in pericolo, domina e incanta attraverso la contemplazione. La Weller elabora le cosiddette parole in libertà che inebriano e non hanno punteggiatura, sintassi, leggi e norme. Sono parole onomatopeiche che, a volte olfattive altre volte auditive rimangono sempre e comunque visive. L'artista scrive o dipinge con parole di diversi colori e strutture tipografiche nelle "Lavagne", ma nelle opere qui analizzate preferisce l'orizzontalità della scrittura corsiva. Secondo Marinetti le parole slegate non cercano di umanizzare la natura (animali, vegetali, minerali) ma al contrario naturalizzano (animalizzano, vegetalizzano, mineralizzanno) lo stile cercando di farlo vivere dell'essenza della materia stessa. Nelle rappresentazioni del mare di Simona Weller lo stile si liquefa e diventa acqua che si muove sotto i raggi del sole con tutte le sue particelle che, perdendo la struttura di parola, assumono la sostanza evocata.
Ma più del futurismo le parole della Weller piuttosto elaborano una ricerca tra le parole e le cose o meglio tra les mots e les choses per evocare il lungo e complesso dibattito francese da Mallarmé a Foucalt. La forma della parola diventa, assumendo una sembianza diversa (soprattutto seguendo l'effetto vicino-lontano), l'oggetto che si vuole rappresentare. La pittura della Weller suggerisce una riflessione sul legame tra le parole e quello che designano, studiando tutta la ricchezza nascosta dalla materia che la parola stessa invoca. Per questo la tessitura delle parole anche se strutturata da parametri geometrici ha una sua potenza organica e naturale. Come la poesia di Francis Ponge essa si sposa alla forma dell'oggetto chiamato in causa, così il mare di Talatta talatta si liquefa, ma quest'ultimo si colora anche di luce e si riempie delle emozioni che questo processo implica. L'osservatore si trova di fronte ad una sintesi della parola tra nome proprio e nome concreto, nome comune e nome alterato con i vari aggettivi che questo può implicare e infine il nome astratto non direttamente percepibile se non attraverso le emozioni generate dagli effetti ottici. La parola rimanda non solo alla cosa in se stessa ma all'idea individuale che noi, spettatori diversi e autonomi nella percezione, ci facciamo di quella cosa e di conseguenza ad un codice di lettura che può essere sia cognitivo che affettivo. Qui l'opera della Weller conduce ad una possibile riflessione su un'anarchia semiotica e quindi ad un suggerimento che si muove verso la decostruzione.
La Weller sa che il linguaggio (inteso come vocabolario) da solo non può raggiungere un livello rappresentativo simile a quello dell'arte e quindi lo elabora in senso metaforico. Esso ha bisogno delle strategie della retorica, della metafora e del colore proprie della poesia e della pittura per raggiungere ciò che la parola evoca. La parola-modulo di Simona Weller ha l'immediatezza di rimandare alla cosa a cui si riferisce in un modo più immediato ed emozionale della parola stessa. Ma a volte l'emozione e la passione, seppur sempre lucida, supera la struttura della parola come l'affettività supera la cognizione sfociando in alcuni passaggi dove il caos risulta più difficile da controllare. Qui l'illusione della determinatezza entra in crisi e il tema diventa prepotentemente emotivo, suggestivo, aperto, infinito e indeterminato. La geometria che organizza la tessitura e il ritmo organizzativo sembrano cedere all'affettività generata dalla grandezza della cosa universale a cui si fa riferimento. Infine, l'articolazione euritmica diventa crescita simmetrica e poi pura emozione attraverso vibrazioni ottiche, cancellature, sovrapposizione. Dalla visione ravvicinata della parola alla visione distanziata della sovrapposizione le superfici di Talatta talatta, Mare, Erba, Grano e Alba diventano un effetto ottico con vibrazioni di colore e di luce il cui effetto straordinario suggerisce l'importanza della pittura di Simona Weller in cui il binomio caos e controllo raggiunge una tensione dialettica tra incanto e delirio, cognizione e affettività, determinato e indeterminato, vicino e lontano, scritto e cancellato, visibile e invisibile.

Calcata, Aprile 2005