Antonella Anedda - 1989


Fabbricante di onde

Minuta, sottile, gli occhi verde-acqua: Simona Weller, possiede una grazia fragile, benché nulla nell'espressione, nei gesti, nella voce gentile possa, neppure per un attimo, suggerire la debolezza. Ciò che dice parlando di sé, della sua pittura, riesce ad essere netto e nello stesso tempo reticente, in bilico fra la tentazione del ricordo e la necessità della sottrazione. Il piccolo studio di Trastevere dove avviene il nostro primo incontro, "non ospita, precisa subito, nulla di mio": ciò che dunque, inizia a raccontare della sua arte, ha il senso di un preludio che troverà compimento più tardi a Calcata, di fronte a un quadro immenso e "lacustre", piccole tessere acquatiche e lucenti, perfetto in una sala battuta dalla luce verde delle colline.

Viaggi, natura, maternità, scrittura: sono queste le coordinate principali della vita e dell'arte di Simona Weller.

"Ho cominciato a girare giovanissima", dice, "e in posti lontani come la Thailandia, quando ancora non era di moda. Di colpo, sono passata dalla quieta, protettiva vita collegiale, all'avventura in luoghi aperti, scomodi, perfino pericolosi. Ricordo ancora la nave che si stacca dal porto di Napoli e va verso acque sconosciute".

Il viaggio, la lontananza accelerano la vocazione della pittura.
Essere libera, non subire i giudizi (e i condizionamenti) di maestri e colleghi consente a Simona Weller di "ritrovare" nel mondo ciò che aveva appreso dai libri, per esempio "capire" davvero con la testa e col cuore Gauguin. "Dipingevo quasi freneticamente, proprio in viaggio, prendendo appunti, fissando e conservando ciò che vedevo e sentivo".

Ascoltandola, si percepisce il peso che deve avere avuto per una ragazza di diciannove anni la decisione di provare se stessa "altrove", straniera in un paese straniero. "Sono stati anni fondamentali senza i quali non è possibile capire il mio futuro. Molti dei temi su cui ancora oggi medito, hanno avuto la loro origine in quei tempi, così come le forme su cui lavoro si sono costruite in quegli spazi".
Affermazioni che trovano conferma nei quadri del "ciclo" del mare: spuma, onde notturne, un azzurro che riesce a non evocare il ghiaccio, ma al contrario il tepore delle acque orientali.
Si intuiscono i "gesti" ampi e lenti, si ha soprattutto la prova di quanto in quest'arte, conti, e lo aveva del resto già notato Palma Bucarelli, lo spessore del pensiero, quasi lo stratificarsi dell'idea sulla tela. La prima giovinezza, dunque è stata la base, la pianura su cui Simona ha eretto le sue "case" reali e metaforiche: ci sono stati i matrimoni e i figli, il casale in Umbria dove ha dipinto per anni dividendosi fra bambini e quadri, c'è stato un altro viaggio importante in Egitto dove ha scoperto il deserto, il silenzio; il silenzio del colore-non-colore, l'importanza e la bellezza della scrittura, del segno sulla terra.

La vita e l'arte non sono dunque inconciliabili? "No", risponde, "non lo sono, credo che il mio lavoro lo dimostri. Tutto ciò che ho vissuto è là, dove ho dipinto: l'esperienza, che per me è stata arricchente e bellissima, ma anche dolorosa, (in un certo periodo) della maternità si è fissata in opere con lavagne, gessetti, frasi infantili; il periodo trascorso in campagna mi ha regalato la possibilità di sentire fisicamente la terra, la crescita delle piante, l'alternarsi delle stagioni".

Attraverso la rubrica d'arte più tardi le parole di Simona si "trasformano" concretamente nei quadri che mi mostra. Guardando le opere nella sua casa e nel suo studio, ne capisco l'amore per la scomposizione luminosa di Seurat, il rapporto quasi viscerale con le vibrazioni dell'aria. In un grande quadro del 1974 - lunghe onde violette che affiorano da una rete scura - rivivo ciò che ha detto (e scritto) sull'intensità del suo rapporto con il mare. Il titolo di una mostra del 1985 riporta una frase tratta da una poesia di Dylan Thomas: "Nessuna onda può pettinare il mare". "È un "frammento", scrive Simona, che da mesi mi buca l'anima". Nelle parole del suo testo e nelle forme dei quadri: il mare diventa metafora di una pittura mai placata, in continua e inesauribile trasformazione.

Chi conosce Thomas ricorda la sua dichiarazione: "Io lascio che una immagine si crei emotivamente in me e (…) poi lascio che ne generi un'altra e che questa nuova immagine contraddica la prima".
Ebbene, questa stessa libertà dialettica, il consapevole, dichiarato oscillare tra materia e concetto, tra realtà e astrazione, sono elementi portanti del mondo di Simona Weller.

Se nessuna onda può pettinare il mare, nessun quadro, può "pettinare", cioè ordinare e definire la pittura.
L'arte è un mare che inghiotte e lascia affiorare, che crea e distrugge.
"Penso al mio dipingere un quadro dopo l'altro, come un'onda che spinta dal vento si formi e si riformi" dichiara Simona.
L'onda dunque è l'autentica e in qualche modo unica "cifra" di questo universo poetico e pittorico.
E non ci stupisce che come un personaggio di Handke il nome Weller coincida con ciò che costituisce il nucleo della sua ricerca e significhi in tedesco: "fabbricante di onde".

Roma, Settembre 1989