Angelo Capasso - 1995


Naufragi con spettatore

Onde, mare, vento; il cosmo di Simona Weller è ridotto a due elementi. È uno sbilanciamento che si evidenzia in strappi, fessure e cunicoli, presaghi di una polverizzazione progressiva che ha raggiunto quasi il suo compimento. La fase attuale della produzione dell'artista romana infatti, ha affinato e messo a frutto gli esperimenti sul cubismo, sull'automatismo e sul pointilisme realizzati fino ai primi anni '80, e ha raggiunto il totale dissolvimento del segno a favore di soluzioni materiche concrete. Gli ultimi "Allegri naufragi" presentano soltanto delle rimembranze di quegli studi, riconoscibili solo a margine di carta e tele divelte che si raccolgono nelle nuove composizioni su esili architetture in legno. Simona Weller esce dalla pittura e segue quell'istinto ad incidere linee e creare onde, già precisato nello pseudonimo che le concede lo stato di artista (weller in tedesco è forma di citazione da wellen, ondulare, rendere ondulato), distribuendo nello spazio i residui di suoi naufragi mentali.

I primi segni degli sviluppi più recenti s'intravedono già nelle ricerche che l'artista romana ha condotto nella metà degli anni ottanta, con i suoi esercizi sulla scrittura. La parola scritta in quelle opere non è mai semplicemente segno, grafia; incisa sull'orlo a seguire il profilo, come con una lama affilata, la linea di ogni parola del suo glossario iconografico - dove ricorrono "mare", "alba", "oceano" - scompare nella sua stessa sagoma, assorbita dall'ombra.

Si tratta di un lavorìo sul bordo deciso a trattenere intatta sulla tela la natura polisemia della parola, come segno e significato, suono e senso. Si aprono quindi echi più lontani, che non hanno origine direttamente nella pittura ma nella letteratura. Il bianco candore inviolabile di Mallarmé, il vuoto e il silenzio di T. S. Eliot, "Le onde" della memoria di Virginia Woolf (per le quali Mario Praz, non a caso, fa riferimento come ad un esempio di pointilisme letterario). Il debordare della letterarietà, d'altronde testimoniato dal riferimento continuo alla cultura del naufragio di Ungaretti a Dylan Thomas, permette una verticalizzazione e degli sprofondamenti nel linguaggio e nell'inconscio che arrivano nell'inatteso, in possibili e affascinanti interpretazioni freudiane. "Mare" nel magma della psicanalisi è lo specchio nel quale si riflette "madre", come realtà nella sua metafora - l'omofonia è ancora più evidente nel francese mer, mère. L'universo artistico della Weller presenta così la peculiarità di un dialogo tra creazione e generazione, arte e natura.

Nella mostra allestita nella galleria Il Granarone di Calcata, questo ampio cosmo dimezzato e in continua trasformazione è visibile in tutta la sua chiarezza.

Il naufragio è abbandono, sconfitta dalla natura e dal caos. Nel linguaggio comune può avere connotazioni morali, "stagione all'inferno" nella quale si ricerca lo spirito maligno dell'arte, limite tra vita e la morte. "Temi la morte per l'acqua" dice Eliot. Oppure è rigenerazione. Rigenerare però non nel tentativo di ricostruire un Cosmo di perfetta unità, ma lasciando visibile la ferita, la differenza che l'esperienza dell'arte lascia indelebilmente incisa.

Roma, Novembre 1995