Cesare Vivaldi - 1974


Le variazioni cromatiche di Simona Weller

Simona Weller ha ormai una storia pittorica abbastanza lunga, visto che espone dal 1959, con una evoluzione che l'ha portata ad affinare al massimo il proprio mezzo espressivo, il segno-colore nella particolare accezione della "scrittura", rinunziando via via ad ogni elemento estraneo o non pertinente al suo linguaggio: il quale si impregna di echi e spessori semantici, s'intride di luci e di nevi e di albe ma vive unicamente di sé e per sé ed è esso stesso, nella analisi che la pittrice servendosene ne compie, unico oggetto e sostanza del dipinto.
La Weller, dopo gli esordi dell'adolescenza, per anni ha svolto sottili indagini in ambito neo-informale volte a studiare soprattutto quelle che potrei definire le "scritture le caso", impronte, tracce, scie, orme, e i loro rapporti con gli elementi primari (acqua, terra, aria, fuoco) sui quali e nei quali si inscrivevano.

Nel 1970 e più risolutamente nel 1971 la sua attenzione si è volta al mondo dell'infanzia e alla grafia e al disegno infantili, ed è da questo momento che la sua arte ha assunto decisamente il carattere di una pittura-scrittura assai originale, anche se inseribile (come notavo a suo tempo e come nel 1972 ribadiva con precisione Enrico Crispolti presentando a Roma una mostra della Weller) nella recente tradizione romana di Twombly e Novelli.

Il passo successivo, maturato nel 1973 e nel 1974, è stato il rifiuto di ogni pretesto (il mondo infantile, per l'appunto) che potesse deviare l'interesse dell'artista dalla scrittura intesa come "ductus" segnico-cromatico, in cui gli antichi elementi primari, drasticamente ridotti alla semplice dialettica luce-materia, tornano trasformati in "continui" di parole pervicacemente sillabate e risillabate attraverso sempre nuove variazioni cromatiche e sempre nuove intenzioni spazio-temporali.
Certamente anche per l'attuale lavoro della Weller si potrebbe parlare di "nuova-pittura", per usare una terminologia tanto di moda quanto inesatta, applicabile a troppe e troppo eterogenee personalità. Personalmente preferisco riferire la sua originale pittura-scrittura a quell'area neo-informale che va estendendosi, mi pare, in modo abbastanza interessante a livello internazionale e alla quale non è estraneo lo stesso Ryman, oltre a Twombly, per non parlare dell'ultimo Dorazio. Un informale (mi si perdoni il termine generico) rivisto con occhio attento ai problemi esclusivamente pittorici e persino tecnici, rifiutando l'angoscia esistenziale e l'egotismo esasperato del "gesto".

Roma, Ottobre 1974