Lettere di una pittrice italiana a Vincent Van Gogh
"Siamo una piccola cosa e per diventare un anello nella catena degli artisti, dobbiamo pagare un alto prezzo di giovinezza, di salute, di libertà."
Afferma Van Gogh in una lettera del 10 maggio 1890. A tale simbolico anello si lega un aspetto suggestivo del lavoro artistico di Simona Weller, che da tempo, e a più riprese, ha intrecciato un dialogo serrato con gli scritti del grande olandese.
Un rapporto che ha una sua storia. Negli anni 1970 la sua pittura-scrittura era molto vicina alle impennate e ai furori tipici del suo immaginario interlocutore, raggiunto attraverso la citazione di parole isolate, lanciate come un grido sulla superficie della tela ed associate a un segno talora violento, accolto, negato, cancellato che frantumava il ritmo del percorso.
Oggi la sua pagina pittorica è racconto di una meditazione più placata, percorsa da involontaria armonia, anche se ricca di compressa inquietudine, in sintonia con l'allentarsi della febbre che ritroviamo in alcuni scritti di Van Gogh, quando la comunicazione diviene più intensamente interiore.
La pittrice persegue tenacemente uno scavo su di sé, stimolata dalla illuminazione offerta da alcune accensioni emblematiche, accolte senza ordine apparente, in un flusso ininterrotto. Lavora lentamente, traccia un segno denso di vibrazioni cromatiche, itera il gesto alla ricerca rabdomantica di una comunicazione con le cadenze di quella straordinaria, denudata sensitività. Aderisce agli aspetti che più manifestano la verità di uno stato d'animo, e li riflette con le caratteristiche di un sogno e gli arbìtri della sua fantasia.
Come la parola in Van Gogh, il suo segno indica nostalgie, desideri, impennate, lacerazioni, proiettati in uno spazio nel quale l'inconscio si rivela di gran lunga più poetico della vita cosciente. Non segno di evasione psichica, ma volontà di trascrivere un flusso ininterrotto e spontaneo, sulla strada di una iniziazione.
La dinamica del gesto riflette quel sentimento di intenso moto che anima l'universo vangoghiano, la struttura iterativa, talora circolare del segno sembra evocare quel ripetersi costante nelle lettere dell'olandese di parole come "unire", "saldare", "legare", "avvicinare", "abbracciare". Una ripetitività nella quale gli elementi si integrano, si confondono, si sovrappongono all'infinito.
Nasce un microcosmo che elude ogni atteggiamento decorativo, concentra, attraverso pochi elementi, il moto vitale in uno spazio dominabile. I segni si alternano talora a piccoli episodi narrativi, che incitano l'immaginazione a fabulare un racconto.
Quando la tessitura si complica l'artista torna più vicina all'aspetto rovente della personalità di Van Gogh, si richiama al vortice che spazza la tela con il movimento del pennello, alla frantumazione delle linee, simili ad un'onda furiosa e tenera insieme, che sottende una struttura mistica. Un modo per individuare la non durata, l'abolizione del tempo, il vivere in un eterno presente.
Negli ultimi dipinti domina l'azzurro, il colore dei sogni che, secondo alcuni semiologi, è il primo ad essere registrato dal bambino dopo la nascita. Ciò conferma un atteggiamento che evoca, per ammissione della stessa artista, la scrittura infantile e ne riflette, in qualche modo, la sublime innocenza.
Roma, Maggio 2003