Palma Bucarelli - 1984


Il mondo filtrato dalla sensibilità di Simona Weller

Simona Weller comincia con lo scrivere, ma le parole non si vogliono comporre nella maniera consueta, si sbriciolano, si staccano, si fanno virgole, ondulazioni, segni, spesso a strati sovrapposti, perdono il significato originario per acquistarne un altro, di pura visività, quasi di poesia visiva, e s'intrecciano ma non tornano al significato di prima. Tendono ad un'altra strutturazione, quasi geometrica ed è il momento in cui l'artista si avvicina al cubismo e ad un certo purismo, alla "section d'or". C'è anche un momento in cui s'interessa al postimpressionismo: c'è una serie di quadri sul motivo de "La Grande Jatte" di Seurat, ma l'immagine è frantumata e piatta.

Gli oggetti, che ancora conservano un ricordo naturalistico, sono appiattiti come in una pagina scritta. Intervengono anche certi spunti scenografici, un po' ironici, alla Severini, ma continuamente spezzettati e frantumati per trovare nella loro stessa struttura interna una ragione di essere così. Ricchezza di ricordi, sedimentazioni di memorie, di esperienze di vita e di cultura, un gettito continuo d'immagini, ora luminose ora opache, si accostano, s'intersecano, si sovrappongono, alla ricerca di una composizione che quasi sempre si assesta e risulta alla fine logica e plausibile. Tutto viene filtrato da intelligenza e cultura che si aiutano l'un l'altra senza scontrarsi mai troppo apertamente. E in fondo il sentimento o meglio la sensibilità dell'artista, che si nasconde sotto un fine intellettualismo, si scopre, ove più ove meno, inconfondibilmente.
Se analizzi o prendi a parte un particolare, può sembrare un mare mosso con le ondicine spumanti o un volto dimezzato o una maschera o un animale stilizzato, o una casa: veduti nell'insieme questi particolari si compongono logicamente e il sottofondo è sempre la scrittura, le parole. Così anche le immagini diventano frammenti di cose, frammenti di parole, che significano quelle cose. Dal proprio corredo d'immagini, a lungo pensate, Simona raccoglie, sceglie le emergenti, quelle che le sembrano comunicare meglio il suo pensiero e tante e non più ne mette sulla tela a comporre un tutto equilibrato, che dia il senso della compiutezza del quadro. Non c'è mai nulla di troppo, anche se all'apparenza il dipinto sembra gremito, né di troppo poco.

Nei quadri più vicini all'immagine cubista si trovano elementi tipici di quella scuola, ma insieme anche elementi ideati dall'artista: collages con frammenti di carte musicali, di carte da parati, brani di balaustre, righe, forme geometriche rotte e intersecate; ma del cubismo l'artista rifiuta la quarta dimensione, e anche la terza, tutto si appiattisce, come in una pagina scritta, come dicevo, e che è sempre il fine ultimo dell'intento della Weller. In un'intervista data qualche tempo fa l'artista parla di ispirazione, che, per dirla con le parole di Severini, a cui talvolta l'artista sembra accostarsi attraverso Braque, "bisogna esser pronti a ricevere". Ma non mi sembra di poter parlare di ispirazione per la Weller. Soltanto, le cose viste e vissute, la cultura raccolta, gli avvenimenti della vita filtrati attraverso la sua particolare interpretazione, si accumulano nel tempo e viene il momento che l'artista sente il bisogno di fissarle sulla tela. È il momento magico che molti chiamano ispirazione. Ma conosco artisti che non lo sentono: si pongono al cavalletto la mattina e vanno avanti fino alla sera come un buon artigiano al suo lavoro. E non è detto che spesso non escano opere eccellenti anche con questo metodo: ognuno il suo.

Il mondo filtrato dalla sensibilità di Simona Weller è composto d'infiniti motivi come è il mondo concreto in cui viviamo e le immagini sono innumerevoli e mutevoli, e, infine, anche intercambiabili. Nemmeno si tratta di inconscio, come essa dice nella citata intervista: non c'è nulla nella pittura di Simona Weller che non sia controllato e passato al vaglio del pensiero. E nemmeno si può parlare di una scrittura automatica o di poesia visiva: nei quadri della Weller le parole sono così frantumate che acquistano tutt'altro aspetto. Anche le citazioni, che l'artista stessa ammette esservi nella sua pittura, si mescolano alle parole smembrate e sfuggenti acquistando altro senso e altra presenza. Ma Simona Weller ha il senso della struttura dell'immagine e perciò tutto questo, che sembra fluttuante e instabile, si compone immancabilmente in un tutto solido, preciso, stringato, che nulla concede al caso e si configura in un quadro conchiuso e serrato fino al rigorismo. I conflitti che avvengono non solo nell'animo dell'artista, ma anche nel suo mondo di forme culturali, si compongono alla fine in un tutto, vincolato sì dalla volontà dell'artista, ma che lascia tuttavia al riguardante ampia possibilità di divagazioni o interpretazioni personali.
Ma talvolta la sua pittura si ammorbidisce, si fa più umana, si direbbe, e la sua scrittura, lasciata in un breve tratto in alto, quasi una firma, diventa più pittura e gli oggetti, limoni, cesto, tasti di pianoforte o libro (per quell'ambiguità che distingue questo genere di pittura e della Weller in particolare) sono intesi nella più lucida tradizione postimpressionistica, quasi si direbbe ricordo di un Bonnard o di un Vuillard, come nel quadro "Limoni, cesto e un tremito…" (ma di tremiti ne ha pochi, Simona).

Un'altra cosa interessante da notare in quest'artista è che non c'è un evidente, esplicito sviluppo: essa ha determinato il suo mondo d'immagini e da quello non si diparte, anche se lo varia. Ciò sta a favore di una sua profonda convinzione che sola giustifica il mestiere dell'artista ed una coerenza rara nel tener fede e alla sua vita interiore e alla sua vita d'artista.

Calcata, Marzo 1984